Dal numero di Vedere International – Speciale MIDO 2021
Lontani, distanziati, messi a dura prova da una routine stravolta da regole e divieti, orfani di eventi e fiere di settore in presenza, privi di strette di mano e brindisi suggello di visioni e condivisioni….
Eppure terribilmente vicini come mai accaduto prima.
Questa è la netta sensazione che avverto riflettendo oggi, dopo quasi un anno e mezzo di pandemia, se penso a quante persone ho avuto la fortuna di conoscere in digitale e alla qualità della conoscenza e della condivisione.
Il digitale ci ha offerto una possibilità unica che sono certa non avremmo avuto con la stessa intensità e velocità in una condizione pre-pandemica. Conversare e conoscersi nelle stanze virtuali parlandosi attraverso la telecamera di un computer, eliminando quindi tutta una serie di distrazioni legate alla prossimità, è come se ci avesse resi più leggeri e capaci di sintonizzarci sulla stessa lunghezza d’onda.
Nella società pre-covid possiamo dire che conoscere tante persone non corrispondeva esattamente ad averne incontrato altrettante.
E’ l’incontro ciò che ereditiamo dal digitale, uno scambio scevro di convenevoli e convenzioni che punta dritto alla comprensione, condivisione o dissenso delle idee tra gli interlocutori. L’incontro digitale ci ha abituati all’ascolto di chi sta parlando, che può sembrare una banalità, ma l’ascolto consapevole è proprio alla basedella comprensione delle idee altrui e quindi del confronto e della condivisione stessa.
Non eravamo abituati a un ascolto così attento prima perché sono tanti i fattori che ci distraggono in una situazione di prossimità: a partire dal linguaggio non verbale legato alla presenza fisica, che spesso urla più della voce, o a tutte le varianti legate ai luoghi di aggregazione che interferiscono con ascolto e comprensione.
Il digitale ci ha quasi obbligati all’ascolto consapevole e questa consapevolezza non ha sviluppato solo riflessioni personali e commerciali, ma ha generato simbiosi e alimentato un senso di appartenenza a un mondo in cui parliamo la stessa lingua, combattiamo le stesse battaglie, lottiamo con la stessa forza e perseveranza.
Il confronto digitale ci ha messi un po’ a nudo e ci siamo scoperti simili (ma non uguali), una somiglianza che avvicina.
Parlo da ottico indipendente, un termine che ancora viene utilizzato impropriamente (o quando conviene…) ma su cui oramai non ci dovrebbero essere più troppi dubbi: indipendenza da sistemi di controllo dei giganti del settore e non etichettabile con brand specifici. Una indipendenza libera perché formula unica che l’ottico riesce a trovare come equilibrio ed espressione della sua professionalità imprenditoriale nel settore.
L’esperienza digitale come quella che ho avuto la fortuna di vivere con RadiO-Ottica, ha generato un contenitore di condivisione in cui hanno parlato tante voci e si sono creati incontri digitali che ci hanno dato forza ma anche restituito sostanza delle relazioni nel corso dei difficili mesi pandemici.
Senza troppi giri di parole, credo che gli ottici indipendenti si siano scoperti meno soli ma soprattutto più numerosi di quello che si credeva e che ci volevano far credere. Internet con le luci spente sulla prossimità ci ha rivelato davvero una “rete” fitta di ottici che la pensano allo stesso modo pur attraversando storie molto diverse.
L’ascolto consapevole mette in evidenza quanto sia influente la comunicazione strategica martellante delle grandi aziende del settore il cui lavoro e scopo è il dominio di tutto il mercato del settore come nel resto d’Europa.
Così, senza stacchi pubblicitari, abbiamo realizzato che chi parla di numeri lo fa per farti sentire piccolo e solo e annetterti a un sistema in cui sei un numero.
Invece NO!
Siamo piccoli ma tanti, abbiamo nome, cognome, identità distinte e definite ma camminiamo nella stessa direzione più vicino di quanto pensassimo, ed è stato il digitale a farcelo scoprire.
Non temiamo il confronto per timore che qualcuno ci possa copiare perché siamo unici e non replicabili e se proprio l’ispirazione di qualcuno diventa troppo sfacciata ce ne inventiamo un’altra.
Non torneremo mai più indietro. Il passo digitale è tratto, abbiamo superato i leoni sputasentenze offensivi e irrispettosi nascosti dietro alle tastiere e siamo proiettati a un confronto aperto, leale, libero, rispettoso, attento e consapevole. Abbiamo imparato a leggere tra i bit e a capire come utilizzare i nostri spazi e vetrine virtuali per comunicare noi stessi e non cederli attratti dalla formula “è comodo facciamo tutto noi” poiché sappiamo che la nostra identità è sacra e oggi più che mai è da preservare ad ogni costo.
Questa riflessione non è ovviamente un elogio alla pandemia, a ciò che ci ha strappato o alla disastrosa eredità che ci porteremo avanti per chissà quanto, ma è sicuramente una forte presa di coscienza di ciò che non avremmo compreso senza essere costretti in margini di manovra così stretti.
Nei momenti più difficili le frasi sul coraggio e la resilienza si sono sprecate e le abbiamo ripetute come un mantra. Abbiamo scavato nel passato e nella memoria alla ricerca di formule e consigli su come chi ci ha preceduto è riuscito a venir fuori da analoghi periodi bui, perché avevamo disperato bisogno di lenire le nostre ferite e, come sempre, le esperienze del passato sono fondamentali per trovare il coraggio e la forza.
Quello che oggi possiamo dire di aver compreso bene è che la strada di svolta nel buio di un tunnel senza luce in fondo, la individui quando realizzi sulla pelle che dentro ogni problema c’è una opportunità da cogliere e che questa è sintomo di crescita ed evoluzione.
Senza le crisi nulla si rinnova.
Senza problemi improvvisi non si crea la necessità di riflettere e trovare soluzioni a cui non avremmo mai pensato in un giorno normale.
Qualcosa è cambiato nella percezione e nel sentire comune degli ottici indipendenti e a dispetto di tutte le macromanovre di chi domina il settore, da questa presa di coscienza non si torna più indietro.
Il digitale ha abbattuto le barriere dello spazio e ci siamo riscoperti colleghi e concorrenti da nord a sud, da Milano a Catania, da Venezia a Roma, da Bari a Torino. Possiamo contaminarci e differenziarci a tutti i livelli alzando sempre di più l’asticella, certi che la cultura della differenza non si abbatte con nessuna strategia per quanto forte e aggressiva.
Sono un’ottimista, lo so. Lo sono sempre stata. Ma essere così vicini da lontano è una opportunità troppo grande per non essere colta.
Forse è quello che dovevamo imparare da questa pandemia.