Il fil rouge che lega gli occhiali dalla loro realizzazione all’acquisto del cliente finale si chiama fiducia. Ecco le mie riflessioni sul mondo dell’ottica in evoluzione, quello fatto ancora di passione che scorre dalle mani di chi realizza alla scelta di chi indossa. Grazie a Giovanni Susti per avere accolto la mia voce.
Non c’è nulla che non sia stato detto da voci molto più autorevoli della mia in merito al settore ottico depredato e snaturato da venti anni a questa parte, da uno tsunami che non si sa cosa lascerà dietro o meglio se lascerà dietro qualcosa di quello che una volta era questo settore. Ma non c’è niente di più sbagliato che arrendersi senza aver tentato. All’università avevo una sola regola che non ho mai infranto, al punto che me la sono portata dietro come eredità nella vita di tutti i giorni: mai bocciarsi da soli.
Non si può negare tuttavia che sia francamente difficile non soccombere al senso di frustrazione che ogni giorno ci assale leggendo le notizie, osservando i giganti che banchettano in borsa, i post che girano nei social, la conta di nuovi competitor che si moltiplicano miracolosamente come i pani e i pesci, sempre di più, sempre più aggressivi, sempre più fuorvianti dal fulcro di questo settore: la visione, il ben vedere attraverso gli occhiali, gli occhiali belli e fatti bene, le lenti innovative che coadiuvano sempre meglio il fondamentale processo visivo delle persone.
Il 23 maggio a Belluno ho avuto il piacere di partecipare per la prima volta a una riunione di filiera, produttori, designer, terzisti, agenti, ottici e operatori del settore tutti insieme con un unico scopo: confrontarsi, capire, comprendere. Inutile nasconderselo la disillusione negli occhi della maggior parte dei presenti era di gran lunga più luminosa rispetto alla punta di speranza a cui si accompagnava. Eppure quell’ombra di speranza è stata più tenace perchè eravamo in tanti, testimoni con oltre 130 presenze che esiste ancora un filo sottilissimo che ci lega e che nessuno evidentemente vuole spezzare.
Forse posso partire da qui.
Una volta eravamo ottici di fiducia. Che cosa significava? I termini “ottico” e “fiducia” erano inscindibili, come un accordo tacito, come un pezzo unico che non può essere scisso. C’era forte sensibilità dell’utente finale sull’importanza della vista perché i messaggi che gli arrivavano da tutte le direzioni (in primis dalla classe medica) erano coerenti tra di loro e non esisteva nessun abominio come i premontati a minare questa coerenza. Il nostro compito di approntare occhiali correttivi perfetti era un principio che non veniva messo in discussione da nessuno, non bisognava certificarlo era così che si lavorava e basta. L’atto di fiducia che raccoglievamo dal cliente era questo e noi ne eravamo custodi perché che l’occhiale fosse bilanciato, di ottima fattura, avesse corretto angolo pantoscopico e meniscatura, fosse realizzato con materiali non tossici, che le lenti fossero centrate e idonee all’uso era tutta l’essenza del nostro lavoro. La forza del connubio ottico-fiducia derivava da un passaggio di consegna di un comportamento che ripercorreva la filiera a tutti i livelli: rapporti di fiducia con e tra i fornitori, produttori, terzisti, agenti. Un equilibrio perfetto, tanto perfetto da essere sacrificato sull’altare del profitto (di occhiali hanno bisogno tutti quindi alziamo i prezzi e i margini più possibile…) creando pian piano uno spazio ampio e comodo in cui si sono inseriti attori scaltri, attenti e con tante sostanze da investire che hanno velocemente delocalizzato tutta la produzione altrove per aumentare a dismisura i margini di ricavo e contemporaneamente tagliare le gambe alla filiera italiana.
In questo passaggio ci abbiamo perso tutti (tranne i pochi delocalizzatori che hanno rilocalizzato però la vendita con il benestare della legge) ma chi ci ha perso più di tutti sono stati i clienti finali e la loro fiducia tradita perché per anni (fidandosi) hanno comprato occhiali a un prezzo uguale o maggiore mentre il costo di produzione e tutte le garanzie erano molto diversi da prima. Lo so, storia trita e ritrita e in tanti settori è accaduto, è stato il prezzo della globalizzazione ci hanno detto.
E adesso che siamo a fine corsa e il peso di questa globalizzazione ci sta schiacciando?Possiamo ancora scegliere?
Questa è la vera domanda che dobbiamo porci ogni giorno per un semplicissimo motivo: se abbiamo una scelta allora abbiamo una possibilità.
Prima ho parlato di ottico di fiducia al passato ed era una provocazione bella e buona per far storcere il naso a molti e il motivo ( se avete storto il naso) è proprio questo: ci sono ancora ottici che lavorano così, che fanno esattamente questo mestiere.
Questi ottici che impiegano tutte le loro forze ogni giorno per continuare a fare il loro mestiere di ottico di fiducia fanno di fatto un lavoro diverso dai tanti negozi e catene che espongono occhiali. I negozi di otticain Italia sono 11.500 (come da informazioni ricevute all’incontro della Filiera): e la stragrande maggioranza sono indipendenti (come da informazioni ricevute all’incontro della Filiera): un coro corposo se si alzasse all’unisono, flebili voci che invece da sole si disperdono nel vento. L’obiettivo dei giganti che dopo aver approfittato degli spazi vuoti chiaramente puntano alla totalità del mercato, si cela non solo nel loro lavoro diretto sul cliente finale ma anche dietro consorzi e gruppi d’acquisto di vario genere nei quali, gettando fumo negli occhi, cercano di dividere e sparigliare il più possibile le carte sui tavoli a cui siedono (dividi et impera). Gli strumenti di dominio sono presto detti: convogliare con operazioni di marketing le scelte degli ottici oppure negargliele imponendo non solo vincoli di numero di pezzi ma una selezione vera e propria direttamente in base alle loro logiche e i loro obiettivi industriali, impostando sistemi per mettere le mani nelle vetrine dell’ottico di turno e posizionare i pezzi in una logica che punta sempre all’omologazione dei punti vendita con le loro catene. Ti dicono che faranno pubblicità e la gente riconoscerà il marchio, la disposizione che gratuitamente ti fanno e quindi comprerà. Invece il cliente finale che già dalle vetrine vede tutto uguale, non arriva nemmeno a guardarti in faccia e vedere se sorridi o meno e quindi avverte che può andare dove vuole in un negozio o nell’altro, tanto è lo stesso.
Così loro vincono, un giorno dopo l’altro perché la strategia è stata pensata benissimo e le ingenti sostanze accumulate negli anni danno loro modo di non avere fretta e investire oggi in un mercato che è già quasi interamente nelle loro mani con il benestare di tutti gli attori (ottici compresi) che sono stati costretti ad assecondare per un motivo o l’altro le loro logiche di dominio.
Ma…. – che bello questo ma 🙂
Il punto è che gli ottici indipendenti davvero possono ancora scegliere ogni giorno di essere ottici di fiducia specialmente adesso che il cliente finale ha imparato la lezione e quando vuole sapere qualcosa chiede alla rete, si documenta, si interessa dei prodotti, li conosce, mastica di materie prime e difetti visivi. Gli svantaggi dell’eccesso di informazione (quella in rete non è sempre attendibile) li conosciamo tutti e il fenomeno interessa ancora una volta tanti settori. A parte i clienti tuttologi che vogliono fare il tuo mestiere e non ti ascoltano e a parte quelli che decidono per principio di investire poco in occhiali (compenetrati dalla convinzione maturata in questi anni che gli ottici sono tutti ladri che vendono due astine e due pezzi di vetro come se fossero diamanti…) esistono clienti che vogliono ancora investire la loro fiducia nel loro ottico, che l’ascoltano, si lasciano consigliare, sono curiosi delle storie che vogliamo raccontargli per presentargli le nostre soluzioni e le nostre selezioni (e non parlo dello storytelling diffuso per moda da tanti marchi come a dire …dobbiamo riesumiamo i “cantastorie”? ok insegniamo agli addetti a raccontare una storia ai clienti così li facciamo contenti….).
Per queste persone che guardiamo dritto negli occhi senza bisogno di specchi digitali e assistenti virtuali, siamo noi la garanzia, noi la qualità, noi la certificazione, noi la tracciabilità dei prodotti, prima di ogni pezzo di carta, logo o timbro. E’ per questi clienti che gli ottici indipendenti possono ancora scegliere di lavorare e possono fare la differenza con tutto il resto. Non è più un lavoro facile anzi, è durissimo e spesso ti chiedi se ne valga la pena. Nell’incontro della filiera il 23 maggio io ho trovato tanta motivazione negli occhi di chi mi circondava che nonostante tutto era ancora li a confrontarsi e che in fondo crede ancora che si possa invertire rotta tutti insieme. E’ questo il sentimento che muove questa mia testimonianza.
Trattandosi di un incontro tra la filiera italiana di produzione degli occhiali abbiamo affrontato insieme il tema del vero made in Italy richiesto in tutto il mondo e paradossalmente quasi merce rara nel nostro paese dove le leggi non lo preservano permettendo di usare la stessa dicitura su prodotti parzialmente fatti in Italia o che addirittura non parlano affatto la nostra lingua. E’ forse tardi per capire di chi è stata la colpa ma sicuramente non è tardi per noi ottici indipendenti che possiamo ancora scegliere e quindi fare la differenza, includere nella nostra selezione di qualità il vero made in Italy, pretenderlo per i nostri clienti e alimentare così la filiera tutta italiana, quella ancora fatta di regole, doveri e diritti rispettati e di etica.
Adriano Lio in una intervista fatta dopo l’incontro della filiera ha detto a mio avviso una grande verità: che tante, troppe persone in Italia parlano di etica e diritti (giganti, piccoli produttori, operatori di settore, ottici e anche i clienti finali) ma pochi sono pronti a sostenere e accettare il peso che scelte etiche e di salvaguardia dei diritti comportano davvero. Il valore di tutto ciò tradotto in margini giusti a tutti i livelli della filiera, unito alla nostra professionalità e alla passione che continuiamo a mettere nel nostro lavoro, può costituire la base di quel concetto di fiducia che noi ottici indipendenti possiamo restituire ai clienti che ci riconoscono.
Siamo piccoli ma tanti.
Unici e non omologati.
Noi possiamo fare la differenza da subito nelle nostre scelte di tutti i giorni.
Noi possiamo creare una rete invisibile e inattaccabile.
Noi possiamo scegliere.
Noi possiamo cambiare le cose.
Ancora.
Non ci bocciamo da soli.
Franca