EssilorLuxottica: il gigante e la forza gravitazionale

Siamo al dunque. Dal primo ottobre abbiamo la fusione ufficiale di Essilor e Luxottica. Il Gigante prende forma a tutti gli effetti diventando il nuovo colosso dell’ottica: bello, imponente, con giacca, cravatta, sorriso a 32 denti e tutte le stellette sul petto.

Il modello che si realizza è quello dell’integrazione verticale, dice Del Vecchio, quel modello che ha sognato, inseguito e finalmente realizzato. Non ho intenzione di fare nessuna analisi economica finanziaria, non mi interessa, non la so fare e non ci provo nemmeno. Mi faccio solo una semplicissima domanda da commerciante, da ottico, da piccola imprenditrice e anche da portatrice di occhiali…. che cosa significa davvero questa “integrazione verticale” e cosa implica?

La mia formazione umanistico-linguistica mi ha insegnato che per trovare le risposte bisogna guardare dentro le parole che vengono utilizzate per chiamare le azioni, perché esse sono la sintesi di tutto e racchiudono la verità vera prima che si celi nelle aggrovigliate ramificazioni dei discorsi con cui poi si tenta di spiegare logiche e motivazioni delle azioni intraprese – che alla fine hanno, guarda il caso, sempre 3 comuni denominatori inattaccabili: scopi benèfici, progresso e vantaggi per tutti.

Parto da “verticale” che deriva dal latino vertex ossia vertice, qualcosa che è disposto o diretto dall’alto in basso. Come ci hanno spiegato da bambini è la direzione orientata nel senso della forza di gravità. Quindi tutto arriva giù e lì si ferma senza possibilità di ritorno. Le azioni che sfidano la forza di gravità come un salto olimpionico da medaglia d’oro, ad esempio, sono faticosissime e bellissime al contempo… ma alla fine sempre al suolo bisogna ritornare.

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Passiamo a “integrazione”. Termine attualissimo, quindi prendiamo proprio l’accezione più bella: “insieme di processi sociali e culturali che rendono l’individuo membro di una società”. Questo processo nasce proprio dal riconoscimento che un individuo è unico e, per tanto, sono necessarie azioni collettive per preservarne l’identità e accoglierla in un collettivo in cui possa esprimersi liberamente – e allo stesso tempo far parte di regole comuni nel rispetto di se stesso e anche della società che lo accoglie.

Ebbene senza altri giri di parole non esiste alcuna integrazione in una verticalità, a mio avviso e, per quanto le ramificazioni di cui sopra siano articolate e ben distribuite sui media fino alle quotazioni in borsa di Euronext Paris, la parola corretta per definire questo modello non è integrazione, bensì “dominio verticale”. Il dominio di una intera filiera, quella degli occhiali, in cui il vertice ha potere decisionale in tutti i livelli di produzione e distribuzione fino ad arrivare sul naso delle persone dove gli occhiali si accomoderanno, senza che queste ultime abbiano potuto realmente scegliere tra le reali possibilità a disposizione. E la cosa più simpatica è che nemmeno lo sanno che non hanno potuto scegliere – e molto spesso non gli interessa nemmeno.

Ho già avuto modo di esporre le mie idee sulla catena del valore (in un mio precedente blog) che si srotola magnificamente in orizzontale su tutti i livelli, generando prodotti che nascono dalle idee libere e senza pesi gravitazionali. La catena del valore della materia di montature e lenti (ad esempio acetato, metallo per le prime, Cr39 et similia o vetro per le seconde). Quella dei produttori di tutto il mondo, che disegnano forme nuove o rivisitano quelle già presenti e realizzano prodotti in modo meticoloso nelle loro aziende – che tengono vive anche dopo il periodo post crisi o che nascono con enormi sforzi. La catena degli agenti, che percorrono km e km presidiando personalmente i territori per trasportare prodotti e trasferire le idee di chi li ha creati e di tutto il mondo che ci lavora e che ha operato con passione. Quella degli ottici che selezionano in base ai loro gusti, alla filosofia del punto vendita, alla loro clientela, cercando di darle qualità, innovazione, ricercatezza e personalità. Infine c’è la catena dei consumatori che in questo modello è tutelata perché può compiere un atto che in tutti i livelli è stato preservato: scegliere liberamente avvalendosi della consulenza di professionisti che credono in quel prodotto fino ad averlo selezionato ed esposto in vetrina.

In una logica verticale si discrimina già al vertice la materia in base a logiche commerciali (cosa spingere e cosa no per far girare quello che non deve distogliere l’attenzione da ciò che voglio vendere), in cui le forme e l’innovazione perdono identità (anche quando queste vengono spudoratamente copiate dai piccoli che sfornano le idee più rivoluzionarie) snocciolandosi nei mille rivoli di collezioni che diventano tutte uguali, perché realizzate dalle stesse persone, in cui la figura dell’agente è praticamente sostituita da meccanismi di invio automatici di ciò che deve girare ed essere venduto, in cui gli ottici hanno solo il ruolo di bottegai che espongo i prodotti sulle rastrelliere senza dover argomentare nulla: tanto ci pensa l’assistente digitale e il consumatore non deve far altro che pescare un occhiale e sperare che gli vada bene.

Oggi si tiene una convention a Montecarlo organizzata da una parte di questa realtà verticale. La dinamica con cui sono stati definiti quelli che possono partecipare è l’esempio lampante di quanto ho descritto all’inizio di questo blog relativamente al modello decisionale top down: la “gravità commerciale” che si esplica nella decisione unilaterale di chi possa partecipare o no, pur facendo parte della stessa realtà. Se accetti il loro modello vai bene, altrimenti non sei il benvenuto. In realtà confesso che sarebbe stato bello ascoltare se qualcuno di questa realtà avesse qualcosa da dire, sopratutto se questo qualcuno ha idee così diverse dalle tue. E’ proprio dal confronto, dallo studio del diverso e dell’ignoto che nasce il progresso. Ma il progresso può fare anche paura a chi deve mantenere una linea dritta e perpendicolare per avvalersi di risultati certi, misurabili, concreti e remunerativi.

Io nella mia realtà orizzontale sto benissimo e godo di panorami meravigliosi. Nelle fiere di settore, allo stile incravattato delle aziende che espongono flûte di champagne e canapè per attirare le persone agli stand perché avrebbe poco senso esporre occhiali (….tanto gli ottici non possono scegliere: gli arriveranno comunque in negozio), preferisco l’ambiente frizzante degli unconventional: quelle aziende con i designer che ti raccontano le idee liquide che hanno avuto nelle notti insonni e li hanno portati all’ideazione di un prodotto, alla novità, a quell’occhiale particolare o semplice pensato proprio per la persona a cui andrai a proporlo. Perché ne rispecchia l’identità, la personalità e i gusti più svariati. Io adoro il modello orizzontale fatto di persone vere che non hanno smesso di esserlo e di emozionarsi e che non affiderebbero mai i loro prodotti a specchi digitali, ma ad altre  persone appassionate come loro che hanno voglia di raccontare i loro prodotti originali e traghettarli alle persone a cui sono destinate.

Chiudo immaginando un incontro con la saggezza della mia mitica nonna Francesca (per gli amici Checchina) DIECIDECIMI® - Glasstylistche in fatto di verticalità e da buona figlia del suo tempo fatto di re e poteri a cui chinare il capo, avrebbe commentato il mio scritto con un detto che tradotto dal mio dialetto nativo in italiano suonerebbe così “attenta a non sputare in cielo perché sempre sul viso ritorna”( la forza gravitazionale docet)… Poi sono certa che avrebbe guardato la mia faccia perplessa e mi avrebbe consolato con una detto ad hoc, in questi primi giorni di ottobre dove l’aria profuma di vino nuovo e tutto mi invita a pensare all’orizzonte di colline pettinate di viti nella terra veneta dove nascono gli occhiali made in Italy più belli:  “figlia mia ricordati che le piccole azioni portano a grandi cose e con un acino di uva alla volta si fa la macina”.

Buon sabato a tutti!

DIECIDECIMI® - Glasstylist

Franca